Paguro
Il relitto del Paguro in 7 minuti - Paguro wreck in 7 minuts
Dive in north Adriatic in Paguro wreck from Marco Sieni on Vimeo.
Il Paguro prese fuoco e si inabissò
pubblicato sulla rivista Sub n° 413 - Ottobre 2022
Il 28 settembre 1965 al largo di Ravenna si consumò la tragedia del Paguro.
Tutto accadde durante i lavori di perforazione; purtroppo le tecniche di prospezione, perforazione ed estrazione erano agli albori, ed a causa di un cedimento del pozzo ci fu un’eruzione, acqua e metano invasero la piattaforma. La violenta eruzione del pozzo, P.C.7, produsse velocemente un cratere che destabilizzò la piattaforma; contestualmente il gas si incendiò, ed il forte calore compromise le strutture che presto si deformarono sotto l’immenso peso della piattaforma. In trentacinque riuscirono a mettersi in salvo, nonostante le condizioni del mare proibitive, perirono tre tecnici, che quasi sicuramente furono colpiti dalla violenza dell’eruzione. Dopo una notte di agonia, il Paguro si inabissò per sempre, a pochi mesi dal varo.
Le fiamme del metano che continuava a fuoriuscire si videro dalla riva e dalle prime colline per mesi, fino a quando fu reperita una piattaforma gemella, che con una perforazione deviata intercettò e sigillò il pozzo. Da quel lontano 1965 il Paguro ha iniziato la sua metamorfosi e quello che resta di quella struttura martoriata dalle fiamme, ha ripreso vita.
Oggi il Paguro non è solo un monumento in fondo al mare che ci ricorda quella tragedia, ma è diventato oggetto di studio e di interesse scientifico per chi ama esplorare i fondali marini. Non solo, grazie all’impegno dell’Associazione Paguro è divenuta da prima zona di tutela biologica, poi SIC, sito di interesse comunitario. Sono migliaia, ogni anno, le immersioni rese possibili dalle decine di guide dell'Associazione Paguro che accompagnano i sub.
Su questo meraviglioso, e complesso sito sono stati realizzati decine di concorsi foto-video subacquei, libri fotografici, testi scientifici, tre tesi di laurea, vari progetti di ripopolamento ittico di specie autoctone. Il Paguro è il primo ed unico progetto in Italia di barriera artificiale costruita riutilizzando le parti sommerse di sei piattaforme Eni dismesse e demolite. Quando si parla di relitto, ci si aspetta una prua ed una poppa, che sia in assetto di navigazione, sul fianco o capovolto. Di solito è un’imbarcazione o un aereo, più o meno grande, più o meno integro. Il mio relitto è diverso…..
Il Paguro è molto più complesso. Non era una piattaforma estrattiva, come tutte quelle strutture fisse più o meno grandi che vengono applicate dopo aver aperto il pozzo ed installato la valvola di testa. Quelle che aprono, modificano o chiudono pozzi, sono piattaforme galleggianti; vengono trainate in posizione, si sistemano ad una ventina di metri sulla superficie calando tre gambe, ed iniziano il loro lavoro. Il Paguro era formato da un cassone triangolare con lato di 60 metri, alto 8 metri, aveva tre gambe a traliccio, a sezione triangolare lunghe 80 metri. Sul cassone trovava posto il modulo alloggi, e la torre di perforazione che veniva traslata fuori bordo per operare.
E già così sarebbe stato un relitto complesso. Successivamente, in vari periodi, vi furono appoggiate altre piattaforme dismesse, aumentando l’area e la complessità del sito. A far si che non ci si annoi mai contribuiscono anche i fattori ambientali. Vento, marea e il grande fiume Po, le sue acque arrivano fino li sopra, a trenta miglia dalla foce, e spesso hanno il sopravvento sul mare, tenendo lontana l’acqua blu e salata che prova a risalire.
Quindi provate ad immaginare di venirci a trovare in un giorno di giugno, periodo in cui la visibilità e temperatura iniziano ad essere accettabili, vi imbarcate per una navigazione di una novantina di minuti, vi ritrovate a dodici miglia dalla costa, al traverso di Cervia, la barca ormeggia ad una boa, scendete ed a meno dieci metri vi trovate un groviglio di tubi, sepolto da banchi di pesce! Questo è il primo impatto che il Paguro vi offre. Il forte senso di disorientamento è comprensibile, alle prime occhiate, nonostante i completi briefing che forniamo, si fatica a trovare dei riferimenti.
Personalmente il mio record annuale è di trentatré tuffi, per cui me lo sono gustato in tutte le salse, solo o con amici, da una visibilità di mezzo metro in pieno inverno con il Po a manetta, ad oltre quaranta metri di visibilità di fine agosto. Ho potuto ammirare le grosse spigole in febbraio o la primavera che esplodeva, con migliaia di nudibranchi durante la deposizione di uova, documentare i cambiamenti della flora e fauna in base alla temperatura che andava via via crescendo, trovarmi in mezzo a dei lenzuolo di mucillagine, fino a giocare con orate da un paio di chili o riccioline curiosissime. Perchè questo relitto è così ricco, semplice, l’Adriatico è un mare ricchissimo; l’apporto del Po e degli altri fiumi che hanno creato la pianura Padana, e che continuano ad apportare di tutto, forniscono nutrimento in abbondanza.
Cosa manca, mancano le strutture nelle quali il pesce può proteggersi e deporre, e così piattaforme, moli, scogli a protezione delle spiagge, ed il Paguro sono una nursery fantastica per tutti. Non dimenticherò mai i miei primi tuffi con l’amico Paolo, uscivamo in tre quattro amici, col suo gommone, era il ‘95, ero agli inizi e timidamente chiedevo se potevo unirmi a loro, in risposta un “si si”. In pochi minuti erano vestiti e sparivano in acqua, io mi buttavo col jacket infilato solo per uno spallaccio, per non perderli, e finivo di vestirmi mentre scendevo.
Li seguivi per un pò, poi taak ti sparivano dentro, ed ovviamente non uscivano da dove erano entrati. Quindi ho dovuto imparare ad orientarmi molto velocemente, altrimenti ero sempre abbandonato. All’epoca gli alloggi ed i magazzini erano ancora integri, nelle strutture erano ancora presenti gli zinchi che prevenivano la corrosione del ferro, finiti quelli abbiamo assistito ad un rapido deterioramento e sono iniziati i crolli. Crolli che avvengono durante le mareggiate invernali, infatti la prima immersione dell’anno è sempre una sorpresa, mancano pezzi che sono sul fondo e si sono aperti nuovi passaggi.
Tanti ci dicono “ma non vi annoiate sempre li”? No, è estremamente vario, mai scontato, sempre con sorprese! Io iniziao sempre con un bel giro sul fondo che è di venticinque metri, saluto l’alcionario, proseguo verso i granchi ragno, capita di recuperare cinture, lampade, fotocamere, poi pian piano risalgo dalle fredde e torbide acque del fondo, spesso sui 10 gradi. Salendo mi scaldo ed inizio a gustarmi il pesce, enormi banchi di boghe, belle occhiate, grossi saraghi e delle orate fantastiche.
Una tale concentrazione di pesce la si può avere ad Ustica o alle Medas, sono gli unici due posti in Mediterraneo così vivi. S prosegue il giro per seguire un grongo fuori tana, per fare qualche scatto ad un grosso astice o per sfruttare una particolare condizione di luce. Quando fuori era particolarmente torbida, ci si concentra sul dentro, cella frigorifero, con ancora un salame saponificato, cucina, bagni. Come tutte le cose belle tutto finisce, ed a malincuore bisogna risalire. Fuori, in barca, gli amici, con cui scambiarsi opinioni e sensazioni, mangiare e bere qualcosa durante il ritorno.
Con chi andare:
Da Ravenna: Moto Barca Elisa +39 336 528 968
Da Rimini: Dive Planet + 39 0541 21506
Crediti
Disegni: per gentile concessione di Faustolo Rambelli
Foto storiche: dal libro Paguro immagini da un relitto
MS09/22
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Ravenna non dimentica la tragedia del Paguro
Nel 1965 la piattaforma prese fuoco e si inabissò, tre le vittime
"Ci sono date ed avvenimenti che segnano la vita delle persone e di una comunità - rileva in una nota il sindaco Fabrizio Matteucci -.
IL 28 settembre 1965 a Ravenna si consumò la tragedia del Paguro.
Io avevo 8 anni, andai con mio padre in spiaggia alla sera, ricordo quelle fiamme spaventose come se fosse adesso.
Tutto accadde durante i lavori di perforazione. Acqua e gas invasero la piattaforma.
Era notte fonda e le condizioni del mare erano proibitive. Le 38 persone dell'equipaggio abbandonarono la struttura. 35 furono tratte in salvo dai mezzi di soccorso.
Tre purtroppo persero la vita.
La piattaforma venne avvolta dalle fiamme e il giorno dopo si inabissò nel cratere formato nel fondale dal gas.
Da allora sono passati cinquant'anni, ma la memoria di quello che avvenne quella notte è sempre viva.
Sabato 26 settembre renderemo omaggio, con una cerimonia, alle vittime di quella tragedia sul lavoro. Voglio ricordarle una per una: il geologo Arturo Biagini, l'elettricista Bernardo Gervasoni e l'operaio Pietro Perri.
Da quel lontano 1965 il Paguro ha iniziato la sua metamorfosi e quello che resta di quella struttura martoriata dalle fiamme, piano, piano è tornato a nuova vita.
Oggi il Paguro non è solo un monumento in fondo al mare che ci ricorda quella tragedia, ma è diventato oggetto di studio e di interesse scientifico per chi ama sondare i fondali marini.
Sono migliaia, ogni anno, le immersioni rese possibili dalle decine di volontari dell'Associazione Paguro che gratuitamente accompagnano i sub.
Sul Paguro sono stati realizzati decine di concorsi foto-video subacquei, libri fotografici, testi scientifici, tre tesi di laurea, vari progetti di ripopolamento ittico di specie autotctone.
Il Paguro è il primo ed unico progetto in Italia di barriera artificiale costruita riutilizzando le parti sommerse di sei piattaforme Eni dismesse e demolite.
Il relitto del Paguro è il simbolo del coraggio e della forza dei ravennati che hanno saputo, dopo quella tragedia, trovare la spinta per fare qualcosa di nuovo e di importante per la nostra comunità.
Oggi quel relitto è qualcosa di vivo, è il simbolo del fortissimo legame di Ravenna con il mare, è un pezzo di storia della nostra città.
Il merito va tutto all'Associazione Paguro che si è impegnata con tenacia e passione in questo percorso di rinascita.
Ringrazio il Presidente Giovanni Fucci e i volontari dell'Associazione: grazie di cuore, a nome di tutti i ravennati".
Comunicato Stampa
Ancora squallidi e desolanti abusi nella zona di tutela biologica e sito importanza comunitaria del relitto del Paguro.
In data 10 ottobre colleghi subacquei hanno effettuato ordinaria immersione al Paguro, acqua meravigliosa, nuvole di pesci, poi sul piano del relitto a -15 di profondità l’ennesima scoperta di un consumato abuso : una canna da pesca caduta e/o abbandonata perchè la « bava » (filo) impigliato nella struttura.
Da anni segnaliamo e denunciamo i continui abusi perpetrati nell’area da parte di pseudo pescatori sportivi in estate ed autunno, da avventurieri con reti in inverno e primavera. Numerosi gli interventi delle autorità, e le sanzioni a carico di vari soggetti, in particolare da parte dalla Guardia Costiera.
Tutti sono perfettamente a conoscenza che lì non si può pescare, ma contemporaneamente tutti sanno che proprio lì c’è un mondo meraviglioso e variegato di tante specie ittiche.
Siamo convinti che non sia estremamente onorevole e sportivo effettuare razzie in un luogo protetto, è sicuramente un grave problema di educazione e di responsabilità.
Rivolgiamo un appello alle associazioni della pesca sportiva affinchè intervengano a promuovere un codice di condotta responsabile per i pescatori sportivi, perchè certi atti individuali squalificano tutta la categoria.
Comunque sia nel 2011, oltre a richiedere un ulteriore impegno e sacrificio alla Guardia Costiera (impegnata in compiti d’istituto ben più rilevanti), ci attiveremo responsabilmente ed autonomamente ad effettuare sopralluoghi e controlli presso la « concessione demaniale marittima dell’Associaione » con la denuncia e divulgazione pubblica di quanti saranno sorpresi a pescare nell’area. Le sanzioni amministrative e di denuncia penale previste dalle norme in materia di zona di tutela biologica e sito d’interesse comunitario sono molto pesanti !
Marina di Ravenna, 11.10.2010
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