Ultimo Palombaro
pubblicato sulla rivista Sub n° 292 - Gennaio 2010 - la mia prima copertina
Mestieri che scompaiono
Ricevo una mail, dal presidente dell’Hds Italia, dalla quale apprendo che gli ultimi palombari in attività hanno iniziato quello che sicuramente sarà l’ultimo lavoro che li vede operare con la classica attrezzatura da “Testa di rame”. Sulla mail trovo anche il recapito di Giovanni De Francesco, anch’esso impegnato con la sua azienda nel cantiere, e gli telefono per ulteriori ragguagli. Il sito è ad un miglio fuori dal porto di Piombino, devono interrare una presa a mare e, non ci sono problemi per il mio imbarco e mi aspettano. Purtroppo sono raffreddato, lascio passare un paio di giorni per rimettermi e ci sentiamo domenica sera. Imbarco alle 7,30, ma mi rassicura, mi possono eventualmente venire a prelevare più tardi. Dunque: stanno interrando una condotta, praticamente nel porto in 4 metri d’acqua e, se non mi tuffo prima che inizino i lavori le foto posso anche dimenticarle. Da Ravenna a Piombino servono 4 ore decido di partire alle 3 così da essere all’imbarco con loro, non voglio arrecare disturbo. Durante il viaggio ripenso al cognome Di Giovanni, mi dice qualcosa; nell’attimo che vedo il suo furgone mi viene in mente che è il fratello di Vito (1), OTS in pensione, conosciuto a Brindisi qualche anno prima, molto legato a Ravenna e, diventiamo subito amici. Mi conduce al rimorchiatore, dove conosco il comandante Salvatore, che mette subito in chiaro di essere Elbano doc nonostante il nome. Lo omaggio di un paio di bottiglie di rosso di Romagna del mio produttore di fiducia, soddisfatto le ripone per il pranzo. Poche chiacchiere e mi indica due persone che si avvicinano, dicendo: “ecco i palombari”. Due signori di una sessantina d’anni che camminano sulla banchina tranquilli e sorridenti, denotando piacere in quello che fanno, gente di altri tempi, soddisfatta e orgogliosa del proprio mestiere. Vedendomi fare foto chiedono se fossi dell’Hds, sapevano del mio arrivo, mi presento e ed è come se ci conoscessimo da sempre. E’ facile, in quanto condividiamo la passione per il mare, l’immersione, e soprattutto l’immersione vecchia maniera, con l’attrezzatura da palombaro. Attrezzatura che l’Hds utilizza per far conoscere come si è lavorato in mare dall’inizio secolo ad oggi direi! Il comandante chiede, via radio, l’autorizzazione a mollare gli ormeggi, ottiene risposta positiva, un cenno all’equipaggio e salpiamo. Mi informo sullo svolgimento dei lavori per capire come muovermi. Salvatore mi spiega che il pontone deve prima caricare la ghiaia da terra, posizionarsi dove dovrà gettarla, Guido deve scendere a controllare il lavoro del giorno precedente, poi tutti fuori dall’acqua e si procede a ricoprire la condotta. Attracchiamo al pontone, ognuno svolge la propria mansione, mentre la gru carica, i fratelli Simoni iniziano a preparare l’attrezzatura. Ho sempre visto ed utilizzato l’attrezzatura da palombaro in piscina, o al massimo è stata utilizzata su di un molo per dimostrazioni, prestandogli la massima cura ed attenzione. Vedere il vestito appoggiato ad una matassa di cavo arrugginito, l’elmo ossidato ed interrato, la manichetta sotto le gocce d’olio della gru e la polvere del cantiere, mi lascia perplesso. Riflettendo siamo in un cantiere, un’altra cosa rispetto ai nostri “giochi”; qui si lavora si hanno tempi da rispettare, si è vincolati alle condizioni meteo marine, se il tempo è buono si deve procedere e, le cure e le manutenzioni, sempre necessarie, si effettuano quando non si può fare altro. Le attrezzature sono mantenute in perfetto stato, ma una macchia d’olio, o di fango non possono fermare il cantiere. Mentre Piero stende la manichetta, e controlla il funzionamento del telefono, Guido sparisce per una decina di minuti, quando riappare, inquadrandolo per scattare una foto sorrido, e penso: “palombaro in tutto e per tutto”, indossa maglia e mutandoni di lana bianca, lana grezza, grossa un dito, con la berretta rossa come la fascia in vita. Il classico sottomuta da palombaro, che avevo visto solo in foto. La vestizione deve essere fatta in due, il palombaro non è autosufficiente. È una procedura che durante un corso dura circa una mezz’oretta, anche per spiegare bene le fasi e la tecnica agli allievi. I fratelli Simoni la eseguono in 5-6 minuti, con una precisione ed una velocità impressionante, mentre continuano a raccontarmi aneddoti sull’esperienze del padre. Fra tanti resto colpito dal recupero della corazzata San Marco, effettuato con i famosi palombari Dell'Artiglio, della ditta Sodini di Viareggio. Peculiarità di questo recupero, che aveva già tentato con esito negativo la Marina Militare, fu il sollevamento senza l'ausilio di casse stabilizzatrici. Lo scafo venne tamponato interamente e pompando aria all’interno fu sollevato intero e riportato in superficie. Gli chiedo che lato ispezionerà per primo e in che direzione andrà. Mi giro per mettermi la bombola e in un lampo il fratello gli chiude l’elmo, gli da la classica pacca per l’ok a scendere ed è in acqua. Abituato al mio Adriatico, qui non mi trovo male, abbiamo parecchia luce del sole, circa un paio di metri di visibilità e non ci dovrebbero essere problemi per il risultato fotografico. Sistemo i flash, controllo l’esposizione e mi accorgo che Guido sta nuotando via come un razzo. Si muove con una naturalezza impressionante, pare non sentire i 10 kg dell’elmo e i 12 di zavorra, neanche i 14 degli scarponi, saltellando ed aiutandosi con le braccia quasi mi semina. Resto veramente stupito, so di essere poco idrodinamico con il mio scafandro a flash completamente aperti, ma seminato da un palombaro non va per nulla bene. Controlla a fondo le riparazioni del giorno precedente, arrivando alla zona dove ha posizionato numerosi sacchi di sabbia. Mi fa cenno di tornare indietro, il tratto di circa 30 metri è pronto per essere ricoperto. Saltellando rientriamo al pedagno, lo vedo che mi controlla prima di risalire. Lo seguo e scatto mentre esce, sopra il fratello pronto ad assisterlo. Tolto l’elmo mi dice: “scusa il torbido, ma qui si lavora”. Ci svestiamo, ora tocca alla gru. Mi ha colpito l’estrema naturalezza nelle azioni, l’affiatamento fra i due fratelli è totale, d'altronde è dal 1967 che hanno a che fare con questo mondo. Mondo che mi affascina parecchio, per vari motivi, estrema attenzione alla sicurezza; vi sono rigidi protocolli da seguire, non esistono orari o giorni di festa, quando il cantiere inizia va portato a termine nel più breve tempo possibile, i costi di uomini e mezzi sono impressionanti l’efficienza deve essere totale da parte di tutto il team, normale aiutarsi anche al di fuori del ruolo. La sicurezza sul lavoro, argomento attualissimo, ci vengono quotidianamente riportati casi di incidenti in tutti i settori, quello dei lavori subacquei è uno dei più sicuri, grazie ai protocolli rigidissimi gli incidenti oggi sono rarissimi. Discutendo proprio di questo vedo Guido sorridere, ed inizia a raccontare dell’unica volta che ha rischiato grosso. Il fratello non poteva fargli da guida per un impegno improvviso, il palombaro non può scendere senza una persona in superficie che lo assista, oggi via radio, ieri comunicando attraverso segnali inviati tramite la cima guida. Quando tutti stavano per lasciare la barca dandosi appuntamento per l’indomani, si presenta un ragazzo, qualificandosi come guida esperta, si decide di eseguire il lavoro. Complice l’elmo vecchio, e l’inesperienza dell’assistente, Guido si butta ed in un attimo si trova a 10 metri di profondità con il vestito pieno d’acqua, naso ed orecchie sanguinanti, spalle massacrate. Dopo qualche attimo in cui teme il peggio riesce a tranquillizzarsi, nonostante l’acqua all’altezza del collo, inizia a dare strattoni alla cima guida, ma non ottiene risposta, prova ad aggrapparsi all’ombelicare ma da sopra anziché trattenerlo lo mollano, prova e riprova, tentando di mandare segnali ma l’unica risposta che ottiene è l’allentamento della manichetta. Fortunatamente il capo cantiere si accorge dell’enorme quantità d’aria che arriva in superficie, non come da una normale respirazione, ma con uno sbuffo continuo. Inizia a recuperare la manichetta, che Guido si è fatto passare fra le gambe, pensando che siccome l’elmo era ovviamente avvitato male, se da sopra avessero tentato il recupero avrebbero rischiato di stapparlo via del tutto. A fatica riescono a riportarlo a bordo, un po’ malconcio ma vivo. Dopo poco sentiamo il cuoco che chiama a tavola, e fra una forchettata di bucatini, ed un bicchiere di vino, si finisce sul discorso degli squali bianchi del canale di Piombino e del sommozzatore aggredito e ucciso proprio da un bianco. Caffè, e di nuovo al lavoro. Verso le 15 mi sbarcano, mentre la gru procede col suo lavoro. Ho conosciuto delle persone fantastiche, disposte al sacrificio, affezionate al loro lavoro, alla loro terra e soprattutto al mare; un attaccamento purtroppo non riscontrabile nelle nuove generazioni.
(1) su Vito De Francesco vedi HDS Notizie n. 36 del 2006 www.hdsitalia.org
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